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Visualizzazione dei post da 2011

Lasagna frullata.

Normalmente mi sentirete parlare bene dei pazienti, dei caregivers (coniugi, figli o genitori che si occupano del malato), e delle figure più o meno silenziose che rendono tollerabile uno stato di bisogno. Oggi,no. Per spiegarvi il motivo devo dirvi cos’è una nutrizione enterale. Se siete impressionabili, fatevela passare perché fa molto meno schifo di altre cose. Prendo uno stralcio dell’ottima guida dell’Istituto Clinico Humanitas: “La nutrizione enterale (NE) permette di nutrire artificialmente, attraverso una sonda, tutti coloro che per diversi motivi (anoressia, stenosi o fistole digestive,  difetti di deglutizione, ecc.) non possono essere alimentati adeguatamente per via fisiologica.  Si chiama artificiale perché vengono utilizzate delle miscele nutritive preparate artificialmente con quantità standardizzate di proteine, glucidi, lipidi, sali minerali, acqua, vitamine e oligoelementi che possono soddisfare  totalmente i fabbisogni metabolici dell’organismo.[ …

Ridere dentro

Oggi vi parlo del Parkinson e delle patologie Parkinson-simili. Sarò molto dissacrante, perché i Parkinsoniani non amano che ci si scherzi su (poi vedremo perché) ma tutti gli altri non sono tenuti a rispettare il loro muso. La fisiologia è complessa, mi scuserete la semplificazione necessaria a comprendere di cosa stiamo parlando. Sostanzialmente, una parte molto antica del cervello (il cervello è come il tronco di un albero: la parte antica sta al centro) perde un trasmettitore di segnale che regola il movimento. Il risultato sono una serie di disturbi come il tremore a riposo , delle stereotipie del movimento, come quel “ tic” alle mani che sembra sempre che il paziente stia sentendo la qualità di una stoffa il bloccarsi mentre si cammina, soprattutto in prossimità di strettoie o parti buie (un corridoio buio è l’ideale: un parkinsoniano ci può passare pure 10 minuti, prima di ricominciare a muoversi) i piccoli passetti sul posto, ti

UFO

Il bambino C., adorabile biondino di 8 anni, ha avuto una PCI 2+1 agli arti inferiori, che vuol dire che le gambe sono rigide, spastiche, con movimenti distonici, un braccio tende alla retrazione soprattutto durante gli sforzi, ma tutto sommato cammina (storto, con treppiedi,  con fatica, ma cammina) e soprattutto, come molti bambini colpiti da PCI , è un pochino più intelligente della norma. Dev’essere una questione di adattamento :  bambini con infermità fisica di qualche tipo sopperiscono al deficit fisico con la prontezza intellettuale.  Se viene coltivata con imparzialità, questa diventa intelligenza, altrimenti, diventa furbizia da quattro soldi.  Mi rincresce doverlo ricordare, ma i genitori che le danno tutte vinte a questi bambini, come se fossero così speciali da non aver bisogno di regole, si ritrovano in casa uno stronzetto supponente, che  tratta tutti come fossero creature a sua disposizione, e così oltre all’handicap sono anche antipatici.  Un giorno vi racconter

E se capitasse a me? (è lungo, suggerisco una lettura rateale)

Qualche tempo fa, sapendo che del mio stage  formativo presso un famoso ospedale pediatrico, un amico mi ha chiesto:  “Cosa ti comporta emotivamente lavorare con queste situazioni?”  Intendendo dire che il burn-out di un terapista, seppur poco considerato, è senz’altro sempre in agguato, soprattutto in alcuni reparti tipo oncologia,   neurologia, le patologie croniche degenerative (cioè quelle che ora ci sono e sono tremende, e domani saranno peggio), e in generale le lungo degenze . Cosa succede in chi tratta pazienti la cui vita è  così profondamente permeata di anormalità ? Si diventa ipocondriaci? Si pensa di più alla morte? Ci si butta sul cinismo? Si vive nel terrore che possa capitare a noi o a qualcuno della propria famiglia? Ho capito che a nessuno piace particolarmente sentir parlare gli addetti ai lavori, per alcuni anche solo sentre queste domande “porta sfiga”. Ma qui siamo tra noi, se fossimo superstiziosi saremmo già morti sotto le numerose scale ap

A come Amputata

Due anni fa di questa stagione prendevo in carico in terapia domiciliare la paziente A, una bella donna di quasi 60 anni, dall’ aspetto curato (anche se lei si scusò subito: “sono in condizioni  disastrose”) A.  era in sedia a rotelle, con la quale si muoveva con una certa disinvoltura nella sua casa dagli ampi spazi. Vive tutt’ora in campagna, adora le piante, suo marito è un abile tuttofare, la vicina è sua sorella e sono molto unite. Ha una neuropatia periferica dovuta al diabete, che ha reso necessaria l’ amputazione della gamba sinistra (il moncone arriva a metà coscia).  Quando l’ho vista per la prima volta non aveva  ancora mai provato a camminare con i deambulatori antibrachiali (le “stampelle”) e le chiesi il perché, visto che sembrava in forma. “Non è vero, sono ingrassata molto, e poi ho paura. ” Quando un terapista sente queste parole, sa di non potersi fidare: i pazienti usano il termine paura per indicare una gamma estremamente variegata di sensazioni , che