Da quando sono fisioterapista sono andata sempre più verso una
sorta di culto del corpo.
E' una bella cosa, che utilizzo quotidianamente, anche per sfatare il mito delle bioboiate olistiche.
Nel senso... per me non esiste la psicosomatica, i neurotrasmettitori
- i messaggeri che portano le informazioni dal cervello al resto del corpo, e ritorno- sono pochi (qualche decina), e con quelli facciamo tutto: sentiamo dolore, piacere, rabbia, freddo, pipì, movimento, starnuto,desiderio... tutte le nostre funzioni psichiche emotive spirituali fisiche sono mediate da poche molecole.
Motivo per cui dividere gli ambiti è un artificio puramente accademico, utile allo studio ma che io trovo deleterio per la comprensione dell'individuo.
(Poi se ci sono tra voi persone che non sono d'accordo , sapete dove trovarmi e ne parliamo a voce. Qui dico quello che mi pare.)
In quest'ottica non c'è divisione, non ce lo dice la new age, ce lo dice l'embriologia.
I componenti sono quelli, e quale che sia l'origine, un sintomo è solo un'espressione visibile.
Tutto questo per dire che il corpo mette i messaggi dove possono essere accessibili. Un dolore al piede ha una corrispondenza e un significato, e a quel punto si può scegliere se trattare il piede, o l'origine o il significato, secondo quello che per noi è più comprensibile.
Quello che manca, a volte, è il contatto con la totalità del corpo. Anni di studi settoriali ci hanno tolto la dimestichezza con l'ascolto unitario. Molte persone non sanno neanche di averle, le gambe, finché non provano un doloretto anomalo al ginocchio, o un indolenzimento per quell'unica volta che sono andate a correre, o mille altri esempi simili.
Nella mia pratica, può capitare che alla terza-quarta seduta il paziente "disconnesso" cominci a unire i puntini, smettendo di considerare il dolore come una scocciatura e iniziando a decifrare il messaggio.
A volte sono epifanie, altre volte esce fuori il ricordo di un vecchio trauma (fisico o emotivo), a seguito del quale il canale privilegiato di comprensione si era interrotto.
A volte capita a me, di prendere una frase detta in modo inconsapevole, e unirla al sintomo, e il paziente scopre un mondo di sé che poi è la chiave del progredire della terapia. Sono momenti magici, in cui ti senti di essere una sorta di traduttore tra un paziente e i messaggi del suo corpo dimenticato.
Sono i momenti che danno un senso anche alle terapie meno "impegnative", e restituiscono al nostro lavoro il ruolo che ha: connettere il paziente con se stesso, qualunque sia lo squilibrio che l'ha portato a scollarsi.
Nella maggior parte dei casi, comunque, il corpo ha le informazioni genetiche che gli bastano per autoripararsi, per funzionare con efficienza, per sfruttare le capacità che ha (senza essere per forza un corpo d'atleta).
Di recente ho conosciuto un uomo straordinario che è diventato paraplegico in seguito ad un incidente. Non ho mai visto una tale consapevolezza del corpo e delle sue possibilità : tutto quello che è rimasto, è armonioso e utilizzato con efficienza e un'ironia onnipervasiva e contagiosa . Un'amica comune mi ha detto: "Da quando lo conosco, faccio spesso lunghi tratti a piedi, perché ho capito che il poterselo permettere non è affatto scontato."
Per cui oggi fatemi questo piacere: passate una mezz'ora ad ascoltare e basta. Senza giudicare, senza angoscia, senza buonismo, senza cercare il doloretto, ma senza eliminarlo se c'è.
Ascoltare, e basta, come se il corpo fosse lì lì per disgregarsi, e questa mezz'ora fosse la grande occasione di rendersi conto che esiste, in ogni sua parte. Ogni singola parte.
E' una bella cosa, che utilizzo quotidianamente, anche per sfatare il mito delle bioboiate olistiche.
Nel senso... per me non esiste la psicosomatica, i neurotrasmettitori
- i messaggeri che portano le informazioni dal cervello al resto del corpo, e ritorno- sono pochi (qualche decina), e con quelli facciamo tutto: sentiamo dolore, piacere, rabbia, freddo, pipì, movimento, starnuto,desiderio... tutte le nostre funzioni psichiche emotive spirituali fisiche sono mediate da poche molecole.
Motivo per cui dividere gli ambiti è un artificio puramente accademico, utile allo studio ma che io trovo deleterio per la comprensione dell'individuo.
(Poi se ci sono tra voi persone che non sono d'accordo , sapete dove trovarmi e ne parliamo a voce. Qui dico quello che mi pare.)
In quest'ottica non c'è divisione, non ce lo dice la new age, ce lo dice l'embriologia.
I componenti sono quelli, e quale che sia l'origine, un sintomo è solo un'espressione visibile.
Tutto questo per dire che il corpo mette i messaggi dove possono essere accessibili. Un dolore al piede ha una corrispondenza e un significato, e a quel punto si può scegliere se trattare il piede, o l'origine o il significato, secondo quello che per noi è più comprensibile.
Quello che manca, a volte, è il contatto con la totalità del corpo. Anni di studi settoriali ci hanno tolto la dimestichezza con l'ascolto unitario. Molte persone non sanno neanche di averle, le gambe, finché non provano un doloretto anomalo al ginocchio, o un indolenzimento per quell'unica volta che sono andate a correre, o mille altri esempi simili.
Nella mia pratica, può capitare che alla terza-quarta seduta il paziente "disconnesso" cominci a unire i puntini, smettendo di considerare il dolore come una scocciatura e iniziando a decifrare il messaggio.
A volte sono epifanie, altre volte esce fuori il ricordo di un vecchio trauma (fisico o emotivo), a seguito del quale il canale privilegiato di comprensione si era interrotto.
A volte capita a me, di prendere una frase detta in modo inconsapevole, e unirla al sintomo, e il paziente scopre un mondo di sé che poi è la chiave del progredire della terapia. Sono momenti magici, in cui ti senti di essere una sorta di traduttore tra un paziente e i messaggi del suo corpo dimenticato.
Sono i momenti che danno un senso anche alle terapie meno "impegnative", e restituiscono al nostro lavoro il ruolo che ha: connettere il paziente con se stesso, qualunque sia lo squilibrio che l'ha portato a scollarsi.
Nella maggior parte dei casi, comunque, il corpo ha le informazioni genetiche che gli bastano per autoripararsi, per funzionare con efficienza, per sfruttare le capacità che ha (senza essere per forza un corpo d'atleta).
Di recente ho conosciuto un uomo straordinario che è diventato paraplegico in seguito ad un incidente. Non ho mai visto una tale consapevolezza del corpo e delle sue possibilità : tutto quello che è rimasto, è armonioso e utilizzato con efficienza e un'ironia onnipervasiva e contagiosa . Un'amica comune mi ha detto: "Da quando lo conosco, faccio spesso lunghi tratti a piedi, perché ho capito che il poterselo permettere non è affatto scontato."
Per cui oggi fatemi questo piacere: passate una mezz'ora ad ascoltare e basta. Senza giudicare, senza angoscia, senza buonismo, senza cercare il doloretto, ma senza eliminarlo se c'è.
Ascoltare, e basta, come se il corpo fosse lì lì per disgregarsi, e questa mezz'ora fosse la grande occasione di rendersi conto che esiste, in ogni sua parte. Ogni singola parte.
Sono molto d'accordo, ed è un peccato che molti professionisti (la maggior parte di quelli che ho conosciuto) non lavori in quest'ottica.
RispondiEliminaChe di fatto, se l'obiettivo da perseguire è la salute del paziente, dovrebbe essere l'unico approccio utilizzabile.