Da ormai parecchi anni tratto una walchiria di 92 anni.
Emigrata dalla Lituania tedesca all’età di 14, ha vissuto in Italia per quasi
60 anni. Ciononostante, ha ancora l’accento crucco, parla in tedesco con i
figli, e i generale con il tedesco sembra trovarsi sempre più a suo agio che
con l’italiano.
L’ho presa in carico dopo una protesi d’anca, e non l’ho più
lasciata. Sebbene io sia più propensa ad indirizzare ad altri i pazienti dopo
qualche tempo (trovo che cambiare approccio e mani, dopo un po’, sia
indispensabile ), lei non mi ha permesso di mandarle un collega. Succede a
tutti noi. Ormai è diventata una terapia reciproca, e senz’altro anch’io non
potrei più farne a meno.
La sua storia clinica è lunga e complessa (92 anni, che vi
aspettavate?!) ma ve la risparmio. Vi dirò solo che soffre da anni di TIA, che
si manifestano talvolta con una pericolosissima perdita di coscienza (cade
improvvisamente , causa delle fratture dell’anca 10 anni fa), talvolta con
degli innocui ma fastidiosi black out nella vista, e nelle crisi più durature
di afasia di Wernicke.
I TIA , Attacchi Ischemici Temporanei, sono come dei
mini-ictus. Una parte del cervello si trova senza ossigeno per qualche ragione,
il tessuto cerebrale si mette da solo in riposo forzato, mette il cartello “trono
subito” e riprende a funzionare quando il danno è stato riparato (o aggirato).
L’afasia è una alterazione del linguaggio, e prende nomi
diversi in base ai tipi: quella di Wernicke è stata amichevolmente chiamata “l’insalata
di parole” perché la grammatica è mantenuta, ma il paziente sostituisce alcune
parole con altre reali, vere, di senso compiuto ma inappropriate al discorso.
Esempio: “volevo farti arrotolare
(leggere) una cosa, ma non trovo i dischi (occhiali)”
Io e l’aiutante della mia walchiria ormai ci mettiamo in
allerta già dalle prime sostituzioni: se durano poco e sono lievi, aspettiamo,
in genere dopo il primo pisolino scompaiono. Se durano più di mezz’ora,
rimaniamo in osservazione. Ma vi dirò che anche
portarla in ospedale è solo uno scrupolo: non possono farle nulla, a
parte rivoltarla di analisi per poi confermare che ha… dei TIA ricorrenti!
In una delle crisi cui ho assistito, ho voluto fare un
esperimento: ho chiamato un figlio e gli ho chiesto di parlare con lei in
tedesco, per vedere se l’afasia dei bilingui si manifesta allo stesso grado in entrambe le lingue. Ero
certa che si potessero paragonare come presentazione, ma –ovviamente-
non come parole.
La sorpresa è stata che in tedesco non presentava afasia!
Evidentemente benché l’area del linguaggio sia sempre quella,
le due lingue seguono connessioni cerebrali diverse, e quelle della sua lingua madre
vengono risparmiate (forse il cervello le ha messe in un posto più sicuro? O è
un caso?)
Non conosco una letteratura sulle afasie dei bilingui, ma
certo se Oliver Sacks avesse avuto la buona creanza di stare ancora qui con
noi, prima o poi ci avrebbe illuminato con uno dei suoi studi!
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